Povertà e ricchezza nel mondo

FREESK~1Poco meno di un mese fa è stato reso pubblico il nuovo rapporto OXFAM sulla ricchezza globale.

OXFAM è un’organizzazione non governativa che così si presenta nel sito della sezione italiana:

“Oxfam (Oxford committee for Famine Relief) nasce in Gran Bretagna nel 1942, per portare cibo alle donne e ai bambini greci stremati dalla guerra. Nel 1965, adotta definitivamente il nome Oxfam.

Con il passare degli anni, Oxfam interviene portando aiuto nelle più importanti crisi del mondo, come in Cambogia dopo la caduta di Pol Pot o in Etiopia vittima della carestia nel 1984, che raccoglie 51 milioni di sterline. Parallelamente, porta avanti una serie di ricerche e studi di settore, posizionandosi come esperta mondiale nei temi dello sviluppo.”

Come tutte le grandi Associazioni che si occupano di povertà, anche Oxfam è stata più volte accusata di vivere sulle spalle delle emergenze che contrasta, di avere intascato parte dei fondi raccolti, di dovere la propria esistenza al mantenimento della povertà stessa e via dicendo. Al di là dell’opinione che ognuno può liberamente costruirsi e sostenere, onestamente il più delle volte tendenziosa e con l’obiettivo di minarne la credibilità, credo sia lecito chiedersi perché Oxfam dia così tanto fastidio.

Motivo presto detto: proprio a causa del rapporto sopra citato, reso pubblico a margine del World Economic Forum che si tiene regolarmente a Davos, località, guarda caso, svizzera.

È frustrante constatare come i mezzi di stampa abbiano impiegato non più di 48 ore ad archiviare la notizia.

Riprendiamo i dati del rapporto in maniera sintetica, attingendo direttamente dal sito italiano:

  • Circa metà della ricchezza è detenuta dall’1% della popolazione mondiale.
  • Il reddito dell’1% dei più ricchi del mondo ammonta a 110.000 miliardi di dollari, 65 volte il totale della ricchezza della metà della popolazione più povera del mondo.
  • Il reddito di 85 super ricchi equivale a quello di metà della popolazione mondiale.
  • 7 persone su 10 vivono in paesi dove la disuguaglianza economica è aumentata negli ultimi 30 anni.
  • L’1% dei più ricchi ha aumentato la propria quota di reddito in 24 su 26 dei paesi con dati analizzabili tra il 1980 e il 2012.
  • Negli USA, l’1% dei più ricchi ha intercettato il 95% delle risorse a disposizione dopo la crisi finanziaria del 2009, mentre il 90% della popolazione si è impoverito.
  • Ovunque, gli individui più ricchi e le aziende nascondono migliaia di miliardi di dollari al fisco in una rete di paradisi fiscali in tutto il mondo. Si stima che 21.000 miliardi di dollari non siano registrati e siano offshore;
  • Negli Stati Uniti, anni e anni di deregolamentazione finanziaria sono strettamente correlati all’aumento del reddito dell’1% della popolazione più ricca del mondo che ora è ai livelli più alti dalla vigilia della Grande Depressione;
  • In India, il numero di miliardari è aumentato di dieci volte negli ultimi dieci anni a seguito di un sistema fiscale altamente regressivo, di una totale assenza di mobilità sociale e politiche sociali;
  • In Europa, la politica di austerity è stata imposta alle classi povere e alle classi medie a causa dell’enorme pressione dei mercati finanziari, dove i ricchi investitori hanno invece beneficiato del salvataggio statale delle istituzioni finanziarie;
  • In Africa, le grandi multinazionali – in particolare quelle dell’industria mineraria/estrattiva – sfruttano la propria influenza per evitare l’imposizione fiscale e le royalties, riducendo in tal modo la disponibilità di risorse che i governi potrebbero utilizzare per combattere la povertà.

 

E in Italia? I primi 7 miliardari italiani possiedono quanto il 30% dei più poveri, mentre isolando il 20% più ricco scopriamo che esso ha in mano quasi il 70% dell’intera ricchezza nazionale.

Molti analisti ritengono che la crescita di movimenti protezionisti, populisti o tendenzialmente estremisti circa le proprie posizioni politiche sia l’esito dell’accentuazione del divario tra ricchi e poveri nel mondo. Il popolo fornisce consenso elettorale a soggetti politici in grado di interpretare la paura e la frustrazione accumulata negli strati bassi della società. Sarà così che si potrà uscire dall’impasse?

Se le ultime generazioni di studenti (noi compresi, eh!!) avessero studiato di più la politica e la storia contemporanea, saprebbero che nell’ultimo secolo (o forse dalla Rivoluzione Francese in poi), davanti alle oligarchie, di qualunque tipologia fossero, quando si è risposto con movimenti populisti e rivoluzionari, sempre è poi spuntata l’ombra della dittatura.

Forse già siamo immersi in una nuova forma di silenziosa dittatura, come in vario modo anche Papa Francesco ha lasciato intendere. Una dittatura culturale sicuramente, ma anche politico, economica e finanziaria, come i dati sostengono.

 

Non sarà la sommossa di piazza a dare nuova risoluzione ai conflitti nascosti, bensì solo il tentativo di concretizzare l’utopia di una nuova società basata su ben altri valori che la difesa degli interessi di pochi a scapito dei molti.

Ancora non abbiamo compreso la reale portata del concetto di “bene comune”. Anche noi cristiani, che davanti all’arroganza altrui troppe volte ci arrocchiamo e tiriamo fuori le varie armi di cui siamo in possesso, dimentichiamo che i figli del Vangelo, sapendo di essere creati a immagine e somiglianza di Dio, proprio per questo motivo sono chiamati ad essere con-creatori.

Se ci indignassimo di meno e proponessimo di più, forse saremmo molto più efficaci.

Se parlassimo di meno e agissimo di più, forse meno persone morirebbero di fame e sete.

A quando una spinta decisa e una partecipazione netta a nuove forme di economia di comunione, su cui tanto hanno insistito i nostri fratelli Focolarini?

A quando la creazione di una seria scuola di formazione politica (e non immediatamente partitica) che declini in forma e sostanza il principio del bene comune tanto esposto dalla dottrina sociale della Chiesa?