Chiara: Cosa ti ha segnato di più nell’inferno della strada?

È difficile parlare di un episodio in particolare, perché ogni incontro per me ha segnato un qualcosa di profondo e di unico.

Certamente fra tanti incontri ce n’è uno con una ragazza proveniente dai paesi dell’est, di 17 anni, che era nel giro di prostituzione e schiavitù; era stata venduta dal fratello e si era ritrovata, dopo diverse sevizie, costretta a prostituirsi.

Mi è venuto spontaneo dirle: perché non scappi? E quando ho scoperto quello che lei aveva visto fare ad altre ragazze che avevano tentato di fuggire, violenze da film horror, mi è preso un colpo al cuore, che davanti a tutti noi possa succedere qualcosa di così drammatico, di terribile senza che nessuno intervenga. E le ho detto: ti aiuto, ti porto via, trovo un posto.

Mi sono accorta che ero a Roma, centro della cristianità, eppure non trovavo un posto dove portare questa ragazza che era costretta a prostituirsi dagli schiavisti di una crudeltà inimmaginabile.

Scoprire quanti ragazzi sono soli pure in mezzo a migliaia di persone, quanto noi passiamo oltre anche se accanto c’è qualcuno che sta morendo e siamo incapaci di vederlo, è davvero drammatico.

Questo lo sperimentiamo ogni giorno non solo andando nei luoghi caldi delle varie metropoli – i “deserti” li chiamo io – ma anche andando a scuola, dove proprio la società della comunicazione è diventata la società della non comunicazione per cui i ragazzi hanno 100 amici su Facebook con cui chattano tutto il giorno, ma poi si sentono terribilmente soli e magari si incontrano in discoteca e non riescono neanche a parlarsi.

C’è questa profonda indifferenza e solitudine. Rompiamo il muro dell’indifferenza!