La vocazione che fa audience

mojaÈ di questi giorni la notizia di un nuovo reality in corso di programmazione in Spagna.

Cinque ragazze di circa vent’anni entrano in un convento per mettere alla prova la propria presunta vocazione. Nulla di artefatto, sostengono gli autori. Le ragazze realmente hanno avvertito un’interiore chiamata alla vita religiosa e hanno acconsentito ad essere seguite da telecamere più o meno nascoste che ne stanno documentando l’evoluzione una volta entrate tra le mura del convento.

Il dubbio che dietro le loro intenzioni ci sia la mente astuta di qualche autore televisivo più che la libera iniziativa dello Spirito Santo è più che lecito!

Qualche dettaglio: chi trasmette le puntate del reality è La Cuatro, una delle due reti spagnole che fanno capo a Mediaset. Non si tratta di un progetto: le prime due puntate sono già andate in onda, con ottimi ascolti. “Quiero ser Monja”, questo il titolo del format, segue le cinque ragazze passo passo, fin dalla partenza da casa e amici, accompagnandole poi nelle attività quotidiane della vita religiosa. Si tratta di cinque ragazze normalissime che vengono da una vita altrettanto normalissima, ma che, ad un certo punto, hanno manifestato il desiderio di mettere a discernimento attivo la presunta vocazione.

A prendersi cura delle aspiranti suore, le missionarie del Santissimo Sacramento di Madrid.

Gli autori sostengono di essere mossi da alti ideali; principalmente la volontà di mostrare cosa concretamente succeda nella vita delle ragazze e in cosa essa cambi una volta entrate in convento.

In realtà, non si tratta di una novità assoluta. Già due anni fa, negli Stati Uniti, venne trasmesso “The Sisterhood: Becoming Nuns”, una serie televisiva analoga. Una delle “concorrenti”, intervistata, affermò di essere stata contattata dal produttore del programma e di avere accettato la proposta con l’intento di mostrare al pubblico il vero volto della vita religiosa, non noiosa e triste, ma piena di gioia e in grado di accompagnare verso una libertà interiore piena. A differenza della vita fuori del convento, tra le sacre mura scompaiono le schiavitù tipiche dei nostri giorni e si lascia spazio all’essenziale, alla propria personale ricchezza senza orpelli o mediazioni.

Circa la messa in onda del reality spagnolo, da parte cattolica conservatrice si sono levate molte critiche, principalmente legate all’ingresso delle telecamere in un ambiente tipicamente lontano dalle logiche del successo, dell’audience e via dicendo.

Esistono anche voci favorevoli all’iniziativa, che sottolineano la necessità dell’eliminazione di idee e opinioni errate sulla vita conventuale, quasi fosse sinonimo di tristezza e austerità, dove termini come gioia e allegria non trovino cittadinanza. Possiamo qui richiamare il famoso detto: il fine giustifica i mezzi?! Difficile giungere ad una valutazione globale, soprattutto senza aver verificato con che termini viene gestita la tematica. Né credo sia onesto giudicare le reali circostanze delle presunte vocazioni in questione.

Partiamo da un presupposto: il cuore umano è e resterà sempre un mistero. La vocazione religiosa ancor di più!

Certo, sussistono alcuni dati di fondo: la tematica religiosa, a favore o contro, smuove comunque gli animi. Ciò significa, in termini televisivi, che crea audience. Conseguentemente, esso fa circolare profitto. Più audience c’è, più diventa costoso lo spazio pubblicitario inserito nella fascia del programma.

A ben vedere, se desiderassi mantenere il programma entro determinati margini di moralità e rilevanza evangelizzatrice, dovrei anche monitorare i contenuti pubblicitari inframmezzati.

Sicuramente, esso è una grande possibilità di evangelizzazione e di testimonianza. Quante conversioni e vocazioni hanno visto la luce grazie a reazioni a eventi mondani, visti come vuoti e inutili, o addirittura grazie a vicissitudini di guerra e persecuzioni! La Scrittura ci assicura che lo Spirito di Dio permea ogni cosa su questa Terra: è lecito pensare che da ogni realtà possa scaturire un seme di speranza o di luce per qualcuno.

Altrettanto sicuramente il reality in questione contribuisce a cancellare la falsa nomea della vita religiosa, noiosa, anacronistica, triste. Se le suore in questione vivono in pienezza la propria vocazione, accompagnando le “concorrenti”, non possono che essere luminose e gioiose, trasmettendo quindi la bellezza delle loro quotidiane abitudini di vita.

Quello che suscita qualche perplessità è la decisione di far diventare merce televisiva la vita religiosa e la vocazione ad essa. Inoltre, va ricordato che il messaggio, nel momento in cui viene comunicato, risente del mezzo utilizzato per la sua trasmissione e si piega alle regole imposte dal mezzo stesso.

Già, anche la televisione ha le sue regole, i suoi tempi, le sue caratteristiche e non è possibile pensare di esserne superiori. A mo’ di esempio, basti pensare che la stesura di un sms non può essere parificata ad una lettera scritta con penna d’oca e calamaio e, pure se l’autore fosse il medesimo, egli dovrà sottostare ad alcune norme strutturanti. Per la tv vale lo stesso. Se vuoi essere efficace, devi conoscere il mezzo che usi e rispettarlo, come se usassi gli occhi piuttosto che la voce per comunicare qualcosa a qualcuno.

Viene da chiedersi: il mezzo usato in tal caso e il format specifico adottato (il reality), è in grado di esprimere al meglio l’oggetto o non rischia di snaturarlo o limitarlo eccessivamente? Cosa resta e cosa sparisce?

Le perplessità sono tante, però è anche vero che, come disse Qualcuno, l’albero si giudica dai frutti. Un cristiano adulto si confronta con ogni prodotto della società in cui vive e, dopo averne fatto diretta esperienza, può esprimere una valutazione.

Interessante è piuttosto come il tema religioso continui ad essere oggetto di reportage televisivo: forse il sacro non è poi così in eclissi come volevano alcuni sociologi decenni fa. Ma su questo punto magari rimandiamo alla prossima puntata. Più reality di così…!!!