Buon giorno, Mietta! …riposato?!

Sono andata a vivere con Mietta nel 2005 e sono stata con lei fino al 2011. Mi sono sentita catapultare,  senza alcuna informazione preventiva e  senza una parola di presentazione reciproca, armi e bagagli, alla porta di legno della casetta di legno di Piglio – dimora di Mietta – adatta a Biancaneve e i sette nani!!!

Il primo incontro con lei lo ricordo con chiarezza: raccontami della tua vita! Nessun giro di parole, ma – è come dire – veniamo al dunque! Questo suo modo di approcciarmi non l’ho sentito invasivo, ma accogliente nella sua presenza ed essenziale nel suo messaggio. Così l’ho vissuta Mietta in tutto il tempo che la grazia di Dio mi ha concesso di condividere le mie giornate con lei!

Mietta - Nuovi Orizzonti

Il suo affetto era scarno e asciutto come la sua persona. Era vero, presente, attivo, con parole misurate e giuste. Non ho avuto alcuna difficoltà a stare con lei pur avendo io origini, storia, percorso di vita quasi opposti: io religiosa, lei donna di classe dentro l’alta mondanità. Ci accomunava il fatto che eravamo finite tutte due in una barca traballante, stracarica di persone rifugiate e perse (come noi) e abbiamo trovato insieme il modo di adattarci proprio perché sentivamo che quella barca, lì lì sempre per affondare, era di fatto quasi visibilmente sorretta da Mano ferma e sicura e da un dolcissimo Sguardo di predilezione! Nei nostri commenti ai fatti del giorno contemplavamo sempre questo splendido mistero.

Dimensione libertà:

la saggezza di una vita intensa, spigolosa, avventurosa quale è stata la sua, mi regalava espressioni e atteggiamenti di grande libertà di movimento e di sguardo. Il senso del controllo sull’altro non esisteva tra noi; la libertà di due donne adulte che conoscono la responsabilità dell’esserci l’una per l’altra era sacra. E lo respiravo ogni giorno!

Saggezza nell’ordinarietà del quotidiano:

lo spazio più grande della nostra convivenza si esprimeva dal tardo pomeriggio. Tornavo dall’ufficio e sentivo che quella casetta, riempita dalla sua costante presenza, era il mio spazio di riposo, di rilassamento, di preghiera e di silenzio. Mietta lo sapeva e mi aspettava per la preparazione della cena.  Qui iniziavano le schermaglie divertenti:  “Mietta, mi insegni a cucinare? (sapevo solo fare il caffè al mio arrivo da lei). “Per niente affatto! Non ho più alcuna intenzione di insegnare niente! Impara da sola!”. Non voleva impegnare tempo più del necessario sulle cose di cucina e non lo volevo neppure io, per cui lei per tempo rimediava i pentolini che venivano dalla comunità così come arrivavano (ci vuole immaginazione per comprenderne i contenuti…) oppure una bistecchina fatta ai ferri in pochi secondi… Andava bene così per tutte due. E noi lo sapevamo senza dircelo!

Il suo umorismo:

ci soffermavamo a cena a parlare di tutto. Le sue valutazioni sul mondo, sulle vicende italiane, sulla comunità erano spesso contornate da battute piene di spirito e di leggerezza intellettuale che generavano spesso una forte ilarità. In quei momenti tante volte Mietta mi ha parlato della sua vita, dei suoi traslochi organizzati e supervisionati da lei stessa con energia e tattica mentre si occupava della scuola, della danza, dei vari spostamenti dei suo figli, delle sue decisioni talvolta dolorose, dei suoi momenti di solitudine per il fatto che suo marito era costantemente impegnato in un lavoro di grande responsabilità, della sua conversione all’amore di Dio che ha capovolto la vita sua e di Silvano. Lo raccontava con la verve piacevolissima di un’umorista perfetta.

Ho ammirato immensamente – io bisognosa di spazi ampi e universali – la sua modalità di vivere la fede e la preghiera. Preghiera del cuore, cioè silenzio, meditazione interiore, contemplazione, senza sentire mai il bisogno di parole infinite e lagnose di cui ci riempiamo la bocca tante volte, convinti che il Signore ci ascolti di più. Preghiera essenziale, silenziosa, interiore. Non avevamo mai fatto preghiere rituali insieme eppure la preghiera avvolgeva la nostra casetta: io nella mia stanza, lei in cucina o in camera… Di questa scuola di ascesi le sono stata grata fin dal mio arrivo.

Avventure di tanta gioia ne ricordo parecchie! Ma una la voglio raccontare perché mi dice della santità di Mietta: santità che si verifica proprio nell’assumere in toto la legge dell’incarnazione che si verifica nella capacità di accogliere pienamente tutte le espressioni della vita umana, nella sua carne e nel suo spirito, con umiltà e grande gioia.

L’avventura del vino:

io veneta e lei nazionale, portando tutto il giorno le avventure-disavventure della comunità dall’anti-alcol per necessità, ci consolavamo la sera con un poco di vinello da tenere ben nascosto sia a livello visivo che olfattivo (Mietta passava tutto il giorno in casetta con i suoi baldi giovani alcolisti, drogati, ecc. ecc., ad ascoltarli, a lavarci il capo per il necessario, a fare da mamma e papà… Mirabile in tutto questo!). Noi due non avevamo però alcuna colpa in merito, per cui cercavamo soluzioni gratuite perché un po’ di modesto vinello ci tenesse compagnia quotidiana almeno la sera. Un giorno riusciamo ad avere un contatto con un anziano contadino che aveva una cantina piena di botti piene… Miracolo! Ci armiamo di bottiglie, bottiglioni, ecc., carichiamo la mia vecchia Punto e in gran silenzio partiamo tutte due alla volta della cantina. Il padrone ci dà carta bianca: prendete quello e quanto volete! Eravamo una coppia fantastica: divertite di questo curioso mestiere, riempiamo tutti i contenitori tra una risata e l’altra cominciando a chiedere alle schiere angeliche che scendessero immediatamente per custodire macchina e autista perché, se fosse successo qualcosa, la nostra reputazione sarebbe stata rovinata definitivamente!!! Siamo tornate a casa super soddisfatte con il nostro bottino sano e salvo. Ma dove nasconderlo? Come proteggerlo? Non ci avevamo pensato… Qui il genio di Mietta: con assoluta nonchalance, riempie la panca addossata alla casetta del prezioso acquisto e sopra ci mette una serie di stracci e coperte vecchie. Mai nessuno ha scoperto qualcosa (e pensare che avevamo persone che di astuzia e fiuto hanno riempito la loro vita!). La santità è gusto del vivere e gioia condivisa nelle cose piccole e grandi! In fondo, l’esempio ce l’aveva dato il nostro buon Maestro!

Che dire di un altro rito serale?! Il gioco delle carte. Sapevo giocare, ma arrivata in casetta ho trovato una maestra eccellente: scala quaranta, burraco, canasta… Bravissima!  Io perdevo sempre, sempre! Credo di aver vinto due o tre volte in 6 anni e si giocava tassativamente quasi tutte le sere. Non era un problema, perché si giocava davvero. Mi sono rassegnata molto presto di essere la perdente, ma ho giocato con lei con gusto, perché intrecciavo con la sua maestria e intelligenza strategica, la mia voglia di imparare, di confrontarmi con lei come in un gioco a scacchi; insomma, avevamo voglia di passare un po’ di tempo in un divertimento spassoso e sereno che spesso finiva con un piccolo brindisi…non vi dico di cosa!

All’ora canonica io andavo nella mia camera e lei rimaneva ancora sveglia a guardare la tv perché dormiva piuttosto tardi da sempre. Qualche volta, dopo una certa ora, se sentivo la tv andare, uscivo dalla stanza e la trovavo addormentata. “Mietta, è tardi!”. “Oh, mi sono addormentata davanti a queste chiacchiere inutili…!”. Che dire?! Tenerezza!

Da educatrice:

seguiva anche il gruppo delle ragazze volontarie. Su di loro si faceva presto una chiara opinione. “Quella… è innamorata. Si sa: l’amore è la ruota che fa girare il mondo da sempre! Quell’altra è depressa. Certo, avrà il ciclo… Quella non è mica tanto a posto: le ho detto che così non va bene. O si mette tranquilla oppure questo posto non fa per lei! Preferisco 100 ragazzi tossici a ragazze smidollate che cominciano a piangere appena le guardi…”.  Non sbagliava di molto le sue diagnosi!

Di lei ho contemplato il senso della fortezza, della prudenza, della sobrietà come stile di vita e come progetto ideale. Non un lamento né uno sfogo. Eppure la caratterizzava una chiara e costante ricerca della verità dei fatti, del confronto, della soluzione rapida di questioni che dovevano essere risolte se potevano esserlo, diversamente chiudeva nel silenzio paziente e sereno la questione.

Era il dono di sé continuo e totale che sapeva esprimere con una naturalezza disarmante.

Ho imparato tanto a livello di vita vissuta, di confronto, di umiltà-nascondimento, di assoluta sobrietà nell’esprimersi e nel vivere, di amore non a parole ma con i fatti! E che dire della sua concretezza nel dare risposte agli infiniti problemi, che ciascuna delle infinite persone che arrivavano da lei, le portava?!

Sarebbe ancora lungo il racconto…

Come dicono i Proverbi, nell’elogio della donna sapiente:

Apre la bocca con saggezza
e sulla sua lingua c’è dottrina di bontà.

e il Siracide:

E’ un dono del Signore una donna silenziosa,
non c’è compenso per una donna educata.

Grazia su grazia è una donna pudica,
non si può valutare il peso di un’anima modesta.

Il sole risplende sulle montagne del Signore,
la bellezza di una donna virtuosa adorna la sua casa.

Lampada che arde sul candelabro santo,
così la bellezza del volto su giusta statura.

Grazie, Mietta, perché ho guardato con attenzione come ti sei inoltrata nel cammino duro della vecchiaia e come ti sei preparata per  5 altri anni all’incontro  con  l’Amato. Ora non posso più dire che non lo sapevo…

Grazie, Padre, per il regalo di Mietta che mi hai fatto e di cui forse non ho saputo valutare la preziosità se non ora, che non ce l’ho più fisicamente con me.

Certo, però, che l’ho ingaggiata da subito nelle infinite richieste di salvezza per molti…