Usa e Corea del Nord: vince sempre il più forte?

Non passa giorno senza che non ci sia una dichiarazione più o meno pubblica a scaldare gli animi tra USA e Corea del Nord.

Tra i due leader, Trump e quell’altro di cui nessuno ricorda il nome preciso e completo, scambi di provocazioni al vetriolo.

Usa e Corea del Nord | Kim e Trump - Nuovi Orizzonti

Il mondo sembra non aver capito la posta in gioco, la minaccia di una destabilizzazione profonda nel settore geografico coinvolto, il rischio di vedere la potenza nucleare utilizzata per distruggere e uccidere.

I due assomigliano a giocatori di Risiko, pronti ad annientare il nemico, in virtù del proprio personale desiderio di autonomia imperante. Da una parte il ragazzino megalomane, dall’altra parte l’affarista nazionalista. In mezzo, un popolo che in gran parte tace.

Mi sembra che in tutto questo frangente per certi aspetti drammatico, per altri baluardo del teatro dell’assurdo, ci sia una categoria di persone che non vengono minimamente coinvolte e cioè l’universo femminile.

Stiamo assistendo al desiderio di predominio del maschio sul proprio territorio dove, come nel mondo animale, vince il più forte, il più aggressivo, quello che grida di più, quello più grosso.

Se restiamo alle diatribe tra Kim Jong-un e Trump, potremmo pensare che tutto ciò sia qualcosa di isolato ed esito dello squilibrio mentale e della volgarità di pochi.

Ma se allarghiamo lo sguardo, ci accorgiamo che l’uomo non ha cambiato abitudini, ma solo modalità: continua a guerreggiare, a dividersi in branchi, ad isolare e ad attaccare il più debole, indifeso, emarginato. L’uomo continua a sfruttare l’uomo, Caino continua ad uccidere Abele, e vince il più forte.

In tutto ciò la donna subisce, come le vedove di guerra che attendono il ritorno dei superstiti e delle bare, per sapere se dovranno continuare a sostenere le sorti della famiglia accompagnate dal proprio uomo o dalle proprie lacrime di lutto.

Solo una nuova alleanza sociale tra universo maschile e femminile credo possa essere l’inizio di una strada di speranza per tutte le situazioni di disagio e di scontro sparse qui e lì nel mondo.

Immagine ideale è la famiglia, secondo il progetto di Dio, dove la donna è custodita dal marito e a sua volta è custode dell’intimità, del cuore del focolare domestico, dirigendone le scelte di fondo, il discernimento sullo stile da viversi nella quotidianità dei giorni.

Non credo sia un caso che Gesù abbia voluto Maria al centro del Collegio dei Dodici dopo la Pentecoste e che Maria sia stata così tanto celebrata come Madre della Chiesa.

Mi sembra di poter affermare che sia ancora mancante l’apporto femminile nel panorama globale mondiale, ma un apporto che sia rispettoso dell’originalità propria della donna e non succube di maschilismi travestiti.

Qualcuno obietterà ricordando nomi di donne di successo, al vertice del governo di alcuni paesi e via dicendo. Il più delle volte, tali donne, di femminile, hanno ben poco, anzi, spesso sono peggio dei propri colleghi maschi.

Il problema non credo sia relegato ai singoli, ma sia strutturale: dimostrazione ne è la scelta di alcune aziende di avere solo uomini al proprio interno, o di chiedere alle neo assunte di non avere figli per i successivi 3 o 5 anni, inserendo clausole contrattuali.

È la nostra società che non è in grado di custodire, ma solo di scartare, per tenere solo ciò che è più conveniente, più forte, più potente, più vincente.

E poi ci ritroviamo ad assistere al braccio di ferro tra una sponda e l’altra del Pacifico in attesa di sapere chi sarà il vincitore del titolo di Mister Muscolo. Non è semplicemente che la punta di un iceberg di un mondo sommerso in cui la donna il suo ruolo di “equilibratrice” e l’uomo ha campo libero per imporre il suo machismo, a scapito di chi vorrebbe un mondo più umano.

C’è bisogno di madri, non di matrone, di padri, non di padroni.

Fuori dall’equilibrio idealmente rappresentato dal modello familiare, c’è solo squilibrio e spazi da invadere, occupare e fare propri. Vince il più forte.

Nel cristianesimo vince il più debole. A buon intenditor poche parole.