…Ma liberaci dal male

YEMEN - Suore UcciseNei giorni scorsi il Consiglio Europeo ha firmato un accordo con la Turchia circa un’attiva collaborazione bilaterale relativamente al problema dei migranti, esodo silenzioso di migliaia e migliaia di persone in fuga da guerre e povertà. Contemporaneamente, i capi europei spingono per una maggiore libertà di stampa nel paese turco, da più parti accusato di filtrare le notizie, di limitare le testate ostili al governo in carica e via dicendo.

Già, la libertà di stampa… e mi chiedo quale sia il reale status della nostra stampa e del mondo dell’informazione in cui siamo immersi.
La libertà di stampa presuppone anche e soprattutto la possibilità di conoscere tutto ciò che succede nel mondo, lasciando all’utente finale la scelta di cosa ascoltare e quale valutazione dare dei fatti.
Due settimane fa, nello Yemen, quattro suore della Congregazione delle Missionarie della Carità, l’ordine religioso fondato da madre Teresa di Calcutta, sono state barbaramente uccise da un commando formato da fondamentalisti islamici.
La notizia è rimasta solo un paio di giorni nelle testate e nemmeno tra i fatti più rilevanti, ma relegata in secondo ordine. Se non fosse stata per l’effettiva autonomia d’azione presente nei social network, forse non se ne sarebbe saputo nemmeno più di tanto.
Questi i fatti: il 4 marzo scorso, quattro suore Missionarie della Carità, suor Judith, suor Reginette, suor Anselm e suor Marguerite sono state assassinate in Yemen da un commando di uomini armati che ha attaccato la casa di riposo da loro gestita, i cui ospiti sono per lo più anziani non autosufficienti e disabili. Oltre alle quattro suore, il commando ha ucciso altre 12 persone, mentre risulta rapito il sacerdote salesiano che risiedeva nella struttura.
Nel giugno 2015, le suore (unitamente alla madre superiora, sopravvissuta all’eccidio) scrivevano:

“Ogni volta che i bombardamenti si fanno pesanti noi ci inginocchiamo davanti al Santissimo esposto, implorando Gesù misericordioso di proteggere noi e i nostri poveri e di concedere pace a questa nazione. Non ci stanchiamo di bussare al cuore di Dio confidando che ci sarà una fine a tutto questo. Mentre la guerra continua, ci troviamo a calcolare quanto cibo potrà essere sufficiente. I bombardamenti continuano, le sparatorie sono da ogni parte e abbiamo farina solo per oggi.
Come faremo a sfamare domani i nostri poveri? Con fiducia amorevole e abbandono totale, noi cinque corriamo verso la nostra casa d’accoglienza, anche quando il bombardamento è pesante. Ci rifugiamo a volte sotto gli alberi pensando che questa è la mano di Dio che ci protegge. E poi corriamo di nuovo velocemente per raggiungere i nostri poveri che ci attendono sereni. Sono molto anziani, alcuni non vedenti, altri con disabilità fisiche o mentali. Subito iniziamo il nostro lavoro pulendo, lavando, cucinando utilizzando gli ultimi sacchi di farina e le ultime bottiglie d’olio proprio come la storia del Profeta Elia e della vedova. Dio non può mai essere da meno in generosità fino a quando rimaniamo con lui e i suoi poveri. Quando i bombardamenti sono pesanti ci nascondiamo sotto le scale, tutte e cinque sempre unite. Insieme viviamo, insieme moriamo con Gesù, Maria e la nostra Madre.”

Perché così poco rilievo a queste parole? Perché invece così ampio spazio alla cattiveria gratuita insita in tanti, troppi fatti di cronaca e così poco sdegno davanti ad un assassinio così feroce perpetrato nei confronti non solo di quattro donne innocenti, ma di quattro persone che avevano scelto di dare la vita per amore del diverso, del lontano, addirittura di colui che non condivide la tua stessa cultura e fede?
Forse la morte ha pesi diversi a seconda di chi la vive? Viene a mente la “livella” di Totò: ma nei fatti la realtà è tutt’altra.
Qual è l’effetto ottenuto dal dare grande rilievo a fatti di cronaca in cui trionfa l’odio, l’inutilità assurda del male, il gusto del truculento, la ricerca del macabro?
Quello che si ottiene è duplice: da una parte il bieco abituare al male, dall’altra il fomentare la paura e il conseguente rinchiudersi nelle proprie piccole sicurezze.
Circa l’abitudine c’è da notare che l’escalation di violenze è spesso sostenuta da una certa indifferenza, istituzionalmente tollerata, se non approvata.
Qualche giorno fa un tifoso dello Sparta Praga, su Ponte Sant’Angelo a Roma, a due passi dalla Basilica di San Pietro, è stato ripreso da un passante col proprio telefonino mentre urinava in testa ad una mendicante, tra l’indifferenza dei passanti.
Nemmeno gli animali compiono atti simili: peggio delle bestie vien da dire. Eppure, 5 minuti di sdegno e via! Subito dopo, sul rullo delle notizie, il racconto dei particolari del massacro di Luca a Roma, l’ennesima strage di migranti nel Mediterraneo, il marito che ammazza la moglie davanti ai figli, e qui mi fermo, non perché siano finiti i fatti, ma perché la lista è troppo lunga. E noi ci abituiamo al male, perdendo sempre più la speranza in un mondo migliore. Non perché i germi di speranza non ci siano, ma perché tali germi vengono volontariamente celati agli sguardi.
L’amore genera amore e il sacrificio d’amore spinge, quale forte testimonianza, a uscire da sé e dal proprio egoismo, scegliendo il dono piuttosto che la conservazione.
Il mondo migliore nasce dalla condivisione dei gesti d’amore, anche e soprattutto quelli che presuppongono il dono totale di sé.
E invece la scelta fatta è altra: raccontiamo il male, esasperiamolo, così da generare la paura e la conseguente ricerca di sicurezza. Le ripercussioni sono molteplici: ricorso al farsi giustizia da soli, aumento della vendita di armi, ricerca di fughe dalla realtà, spesso mediante comportanti deviati o abuso di farmaci e sostanze, e anche in questo caso meglio interrompere la lista.
Perché invece non impegnarsi a diffondere esempi di vita come quelli delle Suore di Madre Teresa ammazzate in Yemen? Perché il bene trionfa sempre e quindi l’unico modo per arginarlo è nasconderlo.
Allora? Solo in Turchia l’informazione non è libera?